Che cos’è il TFR
Il trattamento di fine rapporto (TFR) è una prestazione che spetta al lavoratore quando il suo rapporto di lavoro s’interrompe. Le somme che il datore di lavoro accantona sono definite in questo modo: si calcola la retribuzione lorda annuale e la si divide per 13,5. Ogni anno però la cifra che si ottiene viene rivalutata dell’1,5% più il 75% dell’incremento dell’inflazione per lo stesso anno.
Questa rivalutazione avviene, ovviamente, se si decide di lasciare il proprio TFR in azienda.
Esistono delle alternative? Semplice. Destinare il proprio TFR (maturando, non quello maturato fino ad oggi) ad una forma di pensione complementare, come un fondo di categoria o un fondo pensione privato.
Così facendo il beneficio primario che si raccoglie è il seguente: rivalutazione del nostro TFR in base al profilo che abbiamo deciso per il nostro fondo pensione.
Con una gestione adeguata e in linea con la nostra tolleranza alle oscillazioni di mercato, questo sarà capace di crescere con molta tranquillità visto che il suo utilizzo principale sarà destinato a compiersi tra molti anni. Di conseguenza, avendo un orizzonte temporale d’investimento di lungo periodo, la crescita potrà beneficiare enormemente del fattore della capitalizzazione composta (detto semplicemente: guadagnare sul guadagno), oltre che del poter superare, agevolmente e portando pazienza, i momenti di sofferenza dell’economia.
Altro importantissimo beneficio sarà quello dell’aliquota fiscale: al momento del riscatto, il nostro TFR sarà tassato con una percentuale in linea con la nostra aliquota IRPEF, se lasciato in azienda. Su un fondo di previdenza complementare, invece, la tassazione sarà compresa tra il 15% ed il 9%.
Considerando che il primo scaglione delle aliquote IRPEF si assesta al 23% (oggi è così, chissà in futuro quando potrebbe facilmente aumentare), scegliere di destinarlo ad un fondo pensione significherebbe recuperare tra un 8% e un 14%, che, invece di essere pagati allo Stato, resterebbero nelle nostre tasche.